È la novità che si sta facendo strada in questo periodo in fatto di pensioni: perché potrebbero volerci 5 anni di contributi in più?
La tanto discussa riforma delle pensioni è ancora lontana dall’essere realizzata e gli interventi adottati fino ad oggi hanno riguardato l’introduzione, la proroga o la modifica di singole misure. Si è andati a “toccare”, nello specifico, gli strumenti per il trattamento pensionistico anticipato, stabilendo i requisiti di accesso sia dal punto di vista anagrafico che contributivo.
E così sono stati introdotti Opzione Donna, misura variata a più riprese e oggi rivolta a una ristretta platea di lavoratrici, e ancora l’Ape Sociale per traghettare economicamente gli ex lavoratori fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione piena che resta erogabile a partire dai 67 anni e con almeno 40 di contributi. Ebbene, a breve le cose potrebbero cambiare: è infatti di recente arrivata una nuova proposta dal CNEL che potrebbe modificare, con vantaggi e svantaggi per i lavoratori, le regole di accesso alla pensione.
Secondo quanto è in discussione in queste settimane, dopo che il Consiglio Nazionale dell’economia e del lavoro ha avanzato la proposta, potrebbero esserci per i lavoratori buone notizie da un lato, ma anche cattive notizie dall’altro. Se la riforma dovesse prendere corpo e concretizzarsi, si andrebbe infatti a creare una fascia di flessibilità in uscita che potrebbe interessare le persone di età compresa tra 64 e 72 anni.
Ne deriverebbe un sostanziale ricalcolo dei trattamenti pensionistici sulla base di nuovi coefficienti, con la possibilità di vedersi ridurre o incrementare l’importo dell’assegno corrisposto mensilmente. La flessibilità in uscita sarebbe una conseguenza della scadenza di misure in essere ovvero delle sopracitate Ape sociale e Opzione Donna, ma anche di Quota 103.
Da parte del Governo vi è però la necessità di andare a non intaccare ulteriormente il debito pubblico spingendo, al contrario, per ridurlo. Ed è anche per tale motivo che una misura come Quota 41 non ha a oggi ancora visto la luce ed è molto difficile che possa accadere in tempi brevi: una misura di questo tipo, andando a eliminare l’età anagrafica come requisito di accesso, produrrebbe un incremento di costi per le finanze dello Stato.
Ma, tornando alla proposta di riforma, non è tutto: per andare in pensione oggi occorre un quantitativo di contributi previdenziali versati pari a 20 anni al di sotto dei quali non è possibile ottenere il trattamento pieno. Ebbene, con la nuova riforma delle pensioni, e qui risiede la sfavorevole novità, il limite potrebbe essere innalzato a 25 anni. Ciò significa che per accedere al trattamento pensionistico potrebbero essere necessari ulteriori cinque anni di contributi.
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